COMUNIONE DI INTENTI IN VITTORIO ZERBI E ROBERTA ZERBI ZOPPI
Inconoscibili le ragioni del destino, allo stesso modo di quelle degli incontri. Sappiamo però che nulla avviene a caso, e se – per esempio – due persone si mettono insieme, decidono di condividere la vita, ci devono essere motivazioni ovviamente vicine nel tempo ma anche remote e remotissime, a seguito delle quali quell’incontro diventava inevitabile, necessario. Non sappiamo perché Vittorio e Roberta Zerbi abbiano deciso di vivere e lavorare insieme (lo sapranno loro); sta di fatto che la loro opera è lì per attestare, prima di tutto, un legame profondo, una comunanza di intenti, una circolarità di intenzioni, di pensieri, di risultati.
Questo al di là delle apparenze, perché i due mondi espressivi risultano poi ben distinti, non solo per il ricorso a differenti materiali (da una parte la pittura, dall’altra una scultura che si affida al marmo e alla pietra) ma soprattutto per la diversa inclinazione: fantastica e fiabesca nel caso di Vittorio, vigorosa e sintetica nel caso di Roberta. Ma, appunto, al di là dell’autonomia assoluta dei linguaggi e delle soluzioni, l’opera dei due artisti è accomunata dal rifiuto di un’impostazione piattamente realistica e da un allontanamento da tutto ciò che è rappresentato dalla quotidianità, sentita come il luogo delle miserie, dei limiti, anche delle follie e dei deliri più insensati. Tanto vale, allora, trovare rifugio in un regno di fiaba, in cui si confondono le ere, e i miti e le credenze si contaminano (cielo e terra non sono più luoghi divisi, l’azione e il sogno possono andare a braccetto); oppure, come fa Roberta Zerbi, andare alla ricerca di prototipi, di figure ideali, di simboli quasi di un sentimento, di uno stato d’animo (il pentimento o la paura, l’immagine dell’ombra, l’idea del pellegrinaggio).
Può darsi che in questo distacco dalla quotidianità ci sia una sorta di fuga, il desiderio di approdare a regioni più limpide e pure. Ma, al di là delle motivazioni anche psicologiche alla base di un simile atteggiamento, contano poi, visto che si tratta di due artisti, i risultati ai quali essi approdano. E sono risultati significativi, prima di tutto perché fondati su un’esigenza comunicativa che rende queste pitture e queste sculture fortemente eloquenti. Non è detto che si riesca a decifrare tutti gli enigmi proposti da Vittorio Zerbi: essi vivono di una indefinita suggestione, evocano stagioni precedenti della nostra vita e della nostra storia che pretendono di essere riconosciute, capite, amate. Così è della scultura di Roberta Zerbi, plasmata secondo forme primordiali, che si affidano all’essenzialità dei piani e delle masse, a significare una condizione che non è di ieri o di oggi ma di sempre.
Piacenza,14.03.05
Stefano Fugazza
VITTORIO E ROBERTA ZERBI
LE OMBRE DELLE IDEE
Il gioco delle forme archetipiche in Vittorio Zerbi e Roberta Zerbi Zoppi
Quando circa un anno fa conobbi Vittorio e Roberta, i discorsi che mi tennero sulla pratica artistica, e le realizzazioni che mi andarono mostrando nella loro casa,si ricollegarono immediatamente ad alcune letture che ero andato facendo in quei giorni sulla teoria della rappresentazione.
Secondo le ricerche estetiche la rappresentazione è una visione interiore in assenza dell’oggetto: è il ri-presentarsi alla coscienza di un’immagine proveniente dalla memoria o ricreata servendosi di elementi percettivi assimilati in precedenza, e quindi immagine trasformata, arricchita di senso dall’attività della mente. In parte inconsciamente e in parte intenzionalmente, la figura – l’immagine, l’oggetto – viene in un certo senso “rimessa in scena”, richiamata alla coscienza dall’artista per poi essere presentata ad un destinatario secondo una certa intenzione comunicativa, resa pubblica, oggetto di discorso, di pensiero, di comunicazione interpersonale, sul quale costruire un possibile confronto estetico.
Vittorio Zerbi soprattutto, ma anche Roberta Zoppi, si riferivano alla loro attività artistica proprio in questi termini: lontani da ogni astrattismo, legati ad una tradizione figurativa in un certo senso realistica e classica, le loro figure, i loro personaggi, che si animano in continuazione sulla tela o nel materiale plastico, non hanno tuttavia niente del realismo tradizionale. Si ha a che fare con oggetti dell’esperienza, figure reali, ma si tratta di esperienze rappresentative filtrate dall’interiorità e dalla memoria, in cui i particolari quotidiani spariscono e vengono depurati, per consentire la ricerca dell’essenza, della visione ideale, della linea e della forma che possano assumere significati allusivi, simbolici, divenire metafore dell’uomo nel mondo.
La genesi dell’opera, nei due, mi sembra però alquanto diversa, anche se con alcune intenzioni e procedure simili. Cercherò di spiegarmi con un breve richiamo teorico. Si sa che l’arte si presenta come libero gioco delle forme. Problema che continuamente ci si pone è: da dove nascono le forme, come si generano? Due risposte classiche sono state fornite a questo interrogativo, fin dai tempi dei greci e che sono state riprese e sviluppate nel corso del nostro rinascimento:
· le forme nascono dall’imitazione della realtà (arte come mimesi): dal mondo percepito si estraggono forme più pure, che hanno un fondamento nella realtà, ma se ne possono anche staccare, dando origine a mondi possibili (è questa la soluzione aristotelica)
· le forme estetiche prendono origine anche dalla contemplazione intuitiva di forme ideali (arte come reminiscenza): il dato percepibile viene superato nella psiche dell’artista, alla ricerca di momenti puri, che solo l’occhio della mente riesce a cogliere ricavandoli dalla sua memoria (è questa la soluzione platonica).
Ad esempio, nella rappresentazione di una bellezza ideale, o si parte dall’imitazione di corpi belli, che vengono resi migliorando quanto già esiste davanti all’artista, oppure questo insegue un’immagine di bellezza superiore che trova dentro di sé, trascendendo di fatto qualsiasi immagine realmente percepita, che non potrebbe mai raggiungere quella perfezione. Si tratta di due vie all’arte diverse, ma che alla fine risultano più affini di quanto appaia di primo acchito. Il tutto, in entrambi i casi, si risolve nella ricerca/invenzione di forme armoniche che vanno al di là di quanto il reale immediato ci propone, privilegiando di volta in volta l’esperienza esteriore o quella interiore, ma non dimenticando mai che l’una implica l’altra, l’una vive in funzione dell’altra.
Roberta e Vittorio ripercorrono queste strade del fare artistico, stabilendo un ponte tra il presente della loro coscienza e il passato di una tradizione amplissima: il rinascimento, quello delle botteghe ma anche del laboratorio alchemico, fino a risalire più indietro, ai primordi del mondo mitico, della scoperta delle forme estetiche. Non è un caso che il titolo della mostra sia “Le ombre delle idee”: calco di una famosa opera di Giordano Bruno, donata al Re di Francia Enrico III: “De umbris idearum”, in cui il filosofo espone le sue teorie platoniche, ermetiche, sull’origine delle idee e sull’arte della memoria.
Nella genesi delle sue forme, mi sembra che Roberta Zoppi sia più legata al lavoro concreto, artigianale, manuale, alla fatica delle opere e dei giorni. Quasi un pensare con le mani, un lavorare, modellare, manipolare, accarezzare i diversi materiali che si trova davanti, per sentirne la consistenza, il calore, la vibrazione misteriosa: della creta rispetto al marmo, dei marmi rispetto ai diversi tipi di pietra, dalle pietre all’onice o al legno: ognuno dei quali ha una sua resistenza, tenuta, arrendevolezza, un suo calore, una sua levigatezza. In questo pensare con le mani a poco a poco emerge la forma nella mente, che si concretizza poi nel materiale stesso: ed ecco le figure e i personaggi ridotti di solito all’essenziale, a forme antropomorfe che richiamano geometrie pure, le linee morbide, lente, la luce diffusa, una spiritualità profonda, che sembra tentare di purificare la materialità delle cose, di riscattare la sofferenza del mondo nella conquista di una serenità sempre cercata e mai raggiunta. In lei vi è quindi il rifiuto del costruttivismo astratto di tanta arte del ‘900, per ricollegarsi alla poetica delle figura e ai grandi che si sono espressi in questo senso: Brancusi, Moore, o ai quindi il rifiuto del costruttivismo astratto di tanta arte del ‘900, per ricollegarsi alla poetica delle figura e ai grandi che si sono espressi in questo senso: Brancusi, Moore, o ai nostri Martini, Marini, Manzù.
In Vittorio Zerbi è più evidente la genesi visionaria della sua produzione, la natura fantastica dei suoi disegni e pitture, da lui esplicitamente teorizzata e raccontata: “Mi bastava chiudere gli occhi in un ambiente tranquillo e subito si formava dentro la mia testa una specie di finestra circolare luminosa, nella quale apparivano bellissimi quadri con figure simboliche7 vasti paesaggi, creature ibride, alieni, visioni di tipo alchemico ecc. Dopo quelle prime esperienze decisi di dedicarmi alla rappresentazione di queste “apparizioni”; così come mi riusciva ricordarle e raffigurarle”. Ed ecco uscire nelle sue tele o nei suoi disegni una raffigurazione dell’uomo e della donna nella loro forma naturale e mitica insieme: microcosmi che hanno in sé il potere di ricreare il macrocosmo. Fantasie e fantasmi, mitologie diverse (da quella greca a quella germanica, ma anche ebraica od orientale), simboli di tutti i tipi costituiscono i temi toccati dalla sua attività artistica, dando luogo ad una specie di arte visionaria, quasi una ricerca di ritualità perdute, sepolte nell’inconscio e che di nuovo si affacciano nella mente prima e subito dopo nello spazio pittorico.
Il corpo umano ne è l’assoluto protagonista: un corpo che si libra leggero nello spazio, sciolto nei movimenti, quasi ad assumere tutte le posizioni possibili e che l’artista gode ritrarre secondo prospettive inusuali, libero nell’aria come un Peter Pan sempiterno, per tentare di percorrere le vie dell’ermetismo e dell’alchimia. Alla mentalità rinascimentale, a filosofi come Ficino e Pico della Mirandola, fino a Giordano Bruno, ad artisti come Giorgione, Parmigianino e Dùrer, tesi a cogliere nel mondo della natura analogie e misteriose corrispondenze tra le cose nel cosmo, l’alchimia poteva rappresentare una via privilegiata di sondaggio del nuovo mondo che si apriva agli occhi di uomini. Si tentava di cogliere l’intima connessione delle parti col tutto attraverso un sottile e complicato gioco di corrispondenze e di simbologie, in modo da poter cogliere il cammino di ascesa delle forme verso soluzioni e stadi sempre più elevati spiritualmente. Analogamente, le letture di Vittorio Zerbi, sulla grande tradizione esoterica, sulla kabbalah ebraica, sui grandi mistici e visionari di ogni continente e di ogni epoca, potenziano questa proprietà immaginifica, che poi si concretizza in linee figurative spesso trasparenti, quasi che il corpo sia come un’anima che si intravede ma che lascia trasparire quello che c’è dietro di lei.
La mostra che andiamo a presentare a Castelverde ha quindi a che fare, in entrambi gli artisti, col mondo degli archetipi, quelle forme e figure ideali all’origine di tutte le altre, depositate nell’inconscio collettivo studiato da Jung, alle quali si arriva per vie diverse, come diverse sono le menti e le storie degli individui, di ogni vero artista. E ogni quadro, disegno, scultura racchiude una storia, sulla quale conviene interrogare l’uno e l’altro artista: perché l’interpretazione non è mai oggettiva, ma attribuzione di senso, dialogo con se stessi, con l’altro che ci sta vicino.
Castelverde, 20 ottobre 2001.
Carmine Lazzarini
VITTORIO ZERBI E ROBERTA ZERBI ZOPPI INSIEME AGLI “AMICI DELL’ARTE”
Quando l’uomo non sapeva o non aveva ancora la presunzione di saper spiegare i fenomeni della natura, una cometa, l’arcobaleno, il semplice declinare del giorno verso le tenebre erano motivo di leggende con protagonisti esseri superiori dagli indicibili poteri. Era il tempo degli dei, degli eroi e degli stregoni, sinistri sacerdoti capaci di cogliere briciole di infinito.
Oggi di visioni si alimentano gli artisti; Vittorio Zerbi (in mostra insieme alla moglie all’Associazione Amici dell’Arte) ha costruito intorno ad esse un intero universo di sogni; dolci inganni che tingono di mistero la vita di tutti i giorni. Su un destriero con gli zoccoli incastonati di diamanti (“Una cometa”) la mente vola verso il mondo immaginato dai miti antichi, verso una fantastica era primordiale in cui tutto è magia, dal volo delle farfalle all’alternarsi di luce e buio.
Tanto è descrittiva e puntuale l’arte di Vittorio Zerbi, affascinato dai visionari preraffaelliti e dal tenebroso William Blake (nella prima sala sono esposti degli acquerelli che lo omaggiano), così è essenziale la scultura della moglie Roberta Zoppi.
Le sue figure sono monoliti plasmati nella terracotta (refrattaria e patinata), scavati nell’alabastro e nel marmo bianco e nero del Belgio. Sono creature solide, nate dalla terra e fermamente ancorate ad essa, animate, però, da una segreta fame di infinito. Astronomi, donne incantate dalla luna o spuntate come piante dall’uovo primordiale, si allungano verso il cielo, conquista possibile solo agli spiriti puri capaci di elevazione. Il dubbio, la paura, la colpa sono catene che costringono l’essere umano al suolo, tormentandolo. Sono sensazioni fugaci, ma laceranti, che l’artista spiega perfettamente ritraendo corpi bloccati nel momento di massima acutezza del sentimento, quando il dubbio sottovoce si insinua nella mente o la paura spinge allo scatto.
Più misterioso e inafferrabile degli eventi naturali è, quindi, l’animo umano, magicamente complicato; attraversato ora da pensieri terribili, ora da gioiose emozioni.
“Venerdì 11 febbraio 2005 5 (Il nuovo giornale).
Paola Riccardi
VITTORIO ZERBI (critiche personali)
DICHIARAZIONE DI FEDE ARTISTICA
Molti anni fa, quando iniziai a dipingere e a disegnare, ero interessato alle ricerche dell’arte moderna e contemporanea; oltre a ciò, mi occupavo anche di scienze esoteriche, non solo in teoria, ma anche in pratica. In seguito a questi studi cominciò a svilupparsi dentro di me un sistema di pensiero non più concettuale, ma totalmente visivo. Mi bastava chiudere gli occhi in un ambiente tranquillo e subito si formava dentro la mia testa una specie di finestra circolare luminosa, nella quale apparivano bellissimi quadri con figure simboliche, vasti paesaggi, creature ibride, alieni, visioni di tipo alchemico, ecc.
Dopo quelle prime esperienze, decisi di dedicarmi alla rappresentazione di queste “apparizioni”, così come mi riusciva a ricordarle e raffigurarle. Da allora le mie ricerche artistiche si sono sempre svolte in questa direzione e continueranno così anche in futuro, finche l’occhio mentale che mi propone queste immagini rimarrà attivo.
La figura umana é sempre (o quasi) la protagonista dei miei lavori, per cui non concordo con quei pittori e critici che sostengono che la rappresentazione della figura abbia fatto il suo tempo e che sia anacronistica e inattuale; al contrario, credo che la figura umana abbia ancora infinite storie da narrare, storie che forse non sono mai accadute veramente nella nostra dimensione fisica, ma possono benissimo accadere su altri piani d’esistenza (forse in qualche universo parallelo?). Perché, come ha scritto Teilhard de Chardin “Su scala cosmica solo il Fantastico ha una qualche possibilità di essere vero”. Nei miei lavori io non cerco di rifare (malamente) la grande pittura dei secoli passati; non è questo il mio intento. Il mio scopo è di cercare di raffigurare quelle immagini interne di cui parlavo prima e che tuttora continuano ad affollarsi nel mio occhio mentale.
Nemmeno io riesco a spiegare perché questi “compagni immaginari” si presentino sempre in una veste pittorica piuttosto antica e non appaiano mai, invece, secondo moduli vangoghiani picassiani o matissiani. So comunque che, se cercassi di adottare un linguaggio pittorico più “moderno” e più “attuale”, tradirei completamente quello spirito visionario al quale da tempo ho deciso di dedicarmi.
Vittorio Zerbi
LA FANTASIA MITICIZZANTE DI VITTORIO ZERBI
Notevole sensibilità cromatica e spiccata tendenza per soluzioni scenografiche risaltano nelle rappresentazioni di Vittorio Zerbi, in cui confluiscono la ricchezza ornamentale di particolari narrativi ed una chiarezza compositiva che denota esperienza e qualità di lucido osservatore. Una fantasia miticizzante ed un senso di surreale dominano i soggetti drammatici o favolosi, ambientati nello spazio infinito, quasi tridimensionale, evidenziando una sensitività cromatica pregevole ed una spiccata tendenza a soluzioni scenografiche di rilevante impatto visivo. Accostamenti inediti di oggetti e personaggi, orientati a nuova ed occulta significazione e senso del vuoto determinato da singolari invenzioni e strutturazioni prospettiche, creano ambientazioni dense di ambiguità e mistero, manifestando la possibilità di evasione onirica dall’eterno quotidiano, la fuga dalle standardizzazioni della civiltà moderna. Nell’esaltazione di un vocabolario formale che attinge prevalentemente alla realtà, seppur reinventata e trasformata in inedite associazioni, si attua una vivacissima sintesi dl spazio, tempo e movimento.
Lodi, aprile 1997
Figurativo allegorico con riferimenti onirici e
consistenti varietà allegoriche portano l’arte di Vittorio Zerbi verso la
trascrizione di un mondo in cui reperire desideri ed illusioni, fatiche e
speranze universali, proiettate in una dimensione atemporale che le rende
uniche ed intramontabili. Nella ricerca grafica e coloristica affiora
l’attenzione per quei particolari che contribuiscono ad accendere la
fantasia, nel viaggio indimenticabile ai confini
della mente.
(dal quotidiano di Piacenza “Libertà” del 6.6.1997)
E’ un figurativo particolarissimo quello proposto da Vittorio Zerbi, analisi introspettiva che riflette quell’insieme di fatiche e speranze, gioie e dolori, illusioni e disinganni trasportati al di fuori del tempo e dello spazio, ma pienamente attuali nella consapevolezza di standardizzazioni e mitizzazioni della società moderna.
(dal quotidiano di Lodi “Il cittadino” del 24 maggio 1997)
Luisa Stella Bergomi
EROS E TANATOS, KAOS E COSMOS NELLA PITTURA DI VITTORIO ZERBI
Nelle visionarie composizioni del pittore piacentino Vittorio Zerbi troviamo un mondo antico e sublime dove guerra ed astrologia, Eros e Tanatos, kaos e kosmos, portando alle estreme conseguenze certe tendenze attuali dell’arte moderna, ricreano una dimensione neomedioevale, una pittura singolarmente vicina per sensibilità, impostazione e metodo al fantasioso e sulfureo ‘300 italiano nonché al più rigoroso e drammatico ‘400 tedesco.
In alcuni casi vivaci stesure cromatiche in altre sfondi cupi ottenuti con particolari tecniche, figure statuarie di mostri e di guerrieri, di donne e di amazzoni immerse in un universo primordiale dove ancora si scontrano forze primarie della natura e dove l’uomo, all’apparenza, non ha ancora acquisito l’uso consapevole della ragione e deve, tra astri e meteoriti, conquistarsi uno spazio vitale, una propria dimensione.
Nella sua pittura si agitano complesse componenti mistiche e filosofiche perché da anni Zerbi ricerca, con straordinaria coerenza tecnica ed espressiva, un medioevalismo mitico e leggendario, intriso di misticismo ed utopia, di alchimia e dottrina biblica, una cultura sapienziale ormai in gran parte scomparsa che in alcuni casi diviene tensione ascetica, involuzione e ripiegamento interiore alla ricerca di particolari stati d’animo per chiarire il significato di certe esperienze e comprendere l’importanza di incomprensibili suggestioni, di inspiegabili fascinazioni.
L’arte è processo di elezione spirituale, è catarsi e ricerca di purezza interiore; induce un comportamento religioso e stimola l’anima a superare la materia, trascenderla per realizzare se stessa lontano dalla passione terrena. Vittorio Zerbi si ispira, in egual modo, a fonti auliche e popolari, storiche e mitologiche con, spesso, figure tragiche, tormentate e misteriose, quasi fossero antiche divinità risvegliate dal loro sonno eterno o, viceversa, ancora non del tutto addormentatesi non avendo ancora raggiunto uno stato di tranquillità. Devono ancora lottare per garantire all’uomo moderno razionalità e trionfo del bene sulle oscure forze del male. Forse queste gigantesche ed ingombranti figure devono preservare gli uomini dalla follia, dal degrado fisico e morale, e, come in un grande sogno collettivo ancora possono intervenire, sacrificarsi per il mondo, intercedere per un’umanità abbruttita da secoli di corruzione e lotte fratricide.
Sono immagini inquietanti, ma, nella loro possanza, incutono un terrore ‘buono’, ’positivo’ perché invitano a sconfiggere il male, ad allontanare i mostri della ragione e recuperare così la primitiva purezza, una mitica valle dell’oro, una felice arcadia.
Sembrano avvertire il genere umano che, dappertutto, il maligno è ancora presente, ancora può infierire su creature indebolite dal falso consumismo, da un capitalismo freddo e selvaggio che ha perso qualsiasi dimensione e logica umana ma, internazionalizzandosi e globalizzandosi, è diventato fenomeno freddo ed impersonale lontanissimo, ormai, dalle reali esigenze quotidiane.
Piacenza, 28 giugno 2003
Fabio Bianchi
Il MONDO EPICAMENTE FAVOLISTICO DI VITTORIO ZERBI
Vittorio Zerbi si esprime in pittura e in grafica con una progettualità che, pur richiamandosi ad una certa figurazione di fascino cinquecentesco, propone un mondo irreale, epicamente favolistico (i suoi guerrieri che volano nello spazio su cavalli di luce) folto d’inquietanti simbolismi alla Redon o alla Blake. Insiste nelle sue opere un’atmosfera non italica né mediterranea, ma piuttosto da fiaba o da saga nordica.
Enio Concarotti
(dal quotidiano di Piacenza “Libertà” del 26.09.96).
VITTORIO ZERBI:
LE PITTURE E LE GRAFICHE
Come quasi tutti sanno, l’usuale procedura di ogni critico d’arte che si rispetti è quella di incasellare burocraticamente le opere che gli vengono sottoposte. Fortunatamente non sono critico e sono perciò libera. …In un’epoca come la nostra che accoglie e dispensa le più varie tendenze ripescandole anche da un trascorso recente applicando il prefisso “neo” “trans” e così via, diventa quasi naturale la necessità di accorpare e di etichettare. Questo serve al mercato, lo soccorre poiché bisognoso di una fittizia chiarezza, di un surrogato ad una debole cultura.
Così con paziente gioco di rimandi e di citazioni, con il continuo riferimento a precisi cataloghi stilistici adottati in modo convenzionale e tutt’altro che univoci, si procede di solito ad un lavoro di archiviazione che, bene o male, consciamente o inconsciamente, ha l’effetto di togliere molti veleni residuali al pittore col neutralizzarne aspetti imbarazzanti quali la capacità di eccitare la fantasia (cosa questa ignota ai cataloghi) o l’uso di codici tanto ampi da impedire la quieta e domestica fruizione delle sue opere (cosa questa sgradevole per i mercati).
Gli si cercano così parenti anche remoti, ma meglio quelli più vicini poiché sono i più identificabili. Compagni di strada, di tendenza, di scuola. Si sancisce la sua iconografica appartenenza ad una moda, ad uno stile e ad un’epoca e si lascia intendere che, così interpretato, così fornito di documenti in regola, di carta di identità rilasciata da critici e mercanti, quel pittore è pronto per circolare liberamente e con permessi regolari senza imbarazzare nessuno con estri spesso inclassificabili. Sfuggono a queste operazioni critiche di stampo, lasciatemi dire, terroristico che richiamano in qualche modo la famosa espressione secondo cui “l’ordine regnava a Varsavia”, solo alcune categorie di “pittori”, quelle per esempio a cui appartengono i “matti” e i “bambini.”. Per essi, dato che ad occuparsene normalmente non sono i critici, ma altri personaggi che possiedono un livello minore di specializzazione tipo il mio, non sono infrequenti i rimandi a situazioni immaginative e a livelli coscienziali molto più articolati e tali da chiamare in causa, sovente, notazioni e sedimenti tutt’altro che tranquilli, spesso anzi, inquietanti. Ora a me sembra proprio che il lavoro più propriamente critico, nel senso cui alludevo prima, non sia di facile attuazione con l’opera di Vittorio Zerbi. Infatti, guardando le sue produzioni, non mi pare possibile attribuirgli con certezza nessun settore, nessun comparto e neppure nessuna incasellatura di comodo delle tante disponibili.
Tutto questo risulterebbe restrittivo e fuorviante perché spesso è l’apparenza a determinare assemblaggi di nomi che in verità perseguono in pittura obiettivi lontani e diversi fra loro. Ciò naturalmente nel caso in cui non si voglia sbrigare in fretta il discorso facendo entrare il nostro pittore in schemi che non gli si confanno o giustificandolo per mezzo di poetiche nelle quali egli potrebbe non riconoscersi e con giuste ragioni. Penso quindi di dover evitare frettolose ed equivoche conclusioni/etichette del tipo: è un surrealista, è un metafisico o altro del genere. Desidero anzi sottolineare che sia ora di abbandonare del tutto questa ed altre pigre scorciatoie spostando completamente il discorso alla ricerca di diverse e più complesse e meno etichettabili suggestioni che sono poi quelle che meglio possono servire per comprendere i possibili e molteplici significati di opere simili.
Premesso tutto questo e volgendomi ora ad esplorare il mondo di Vittorio desidero subito soffermarmi sulla prima utile traccia per quella che considero la mia personalissima indagine delle sue opere che mi piace chiamare messa in scena. Vado così subito a ricercare nella memoria un olio su tela del 1990, “L’Ade”, che mi pare molto significativo e rivelatore. In esso a mio vedere Zerbi fa un chiaro riferimento a William Blake, un po’ nel titolo e molto nei motivi raffigurati. Si tratta di figure in movimento che riempiono tutto l’orizzonte. Di blakiano in questa sintomatica rappresentazione c’è molto e non solo per una quasi esplicita volontà di rendere omaggio al maestro, ma soprattutto per una coincidenza di motivi profondi: il comune piacere di profanare i limiti razionali della realtà che quasi sempre dovrebbe essere presente nel magico mondo, nel magico gioco dell’arte. Qui vi è come diceva Eliot “La volontà di crearsi una filosofia oltre che una poesia”. Citando Blake vorrei cercare una sorta di filo sotterraneo tale da poter porre in comunicazione artisti diversi, se non altro per la portata archetipologica che tale filo può assumere. Tra questi elementi il più importante mi pare essere costituito da un controllo deciso e sicuro del pennello e della matita al punto che non sembra esservi alcuno sviluppo di tecnica come se la mano, lei decisa e sicura, avesse sempre eseguito senza alcuna esitazione ciò che la mente ordina, ciò che la sua sensibilità raccoglie e vuole trasmettere.
La mano, la mente. La grande maestria di Vittorio Zerbi della figura umana, della prospettiva, della struttura architettonica, del dettaglio e dell’ornamento formano una sorta di vocabolario visuale che pare consentirgli di parlare un’infinità di linguaggi visivi. Nei segni archetipologici trovo certamente eco di antichi maestri di quel “vero immaginario” che ha formato Dùrer, Bellini, Carpaccio, Tintoretto, Guardi, tanto per citare, quando il vero raggiungimento non era l’abilità dell’artista ma la sua originalità e la personalità del talento. E non dico questo per incasellare la pittura di Zerbi, cosa da me già inizialmente rifiutata, ma per esaltarne il linguaggio dell’immagine anche perché sono certa che ciò in cui crede un artista è sempre diverso da quello in cui crede un altro artista, quello che importa è non tanto la sostanza di quello che crede quanto la vitalità poetica con cui riesce a trasmettere il suo messaggio rendendolo vivo ed attuale.
Nelle pitture di Zerbi diviene più esplicito il ruolo della vita immaginativa perché le sue tele, i suoi disegni contengono la forza corporea di un’immaginazione che dà forma ad un “non ancora.”. latente in questo mondo sensibile, perché è nell’immaginazione che l’uomo sceglie e decide quasi che vi sia in quei tratti pittorici anche il gusto di raffigurarne le parole insieme ad un tentativo di dare una forza allusiva alla forma poetica. Ed è questo un fatto quasi magico pensando alle origini scientifiche dell’artista laureato in biologia e già docente di materie scientifiche, lui che ci propone questa pittura fatta di immagini, messa in scena per rappresentarci pensieri arcani, le soffocate pulsioni dell’anima, i turbamenti che spesso desideriamo nascondere e ignorare, mentre chi le osserva profondamente può riconoscersi quale misterioso attore sul palcoscenico della tela, attore interprete di queste messa in scena in una verità ambigua ritratta dalla felice immaginazione che guida la mano dell’artista. E poi la melanconia che affiora in tante sue opere e che lo accomuna a tanti artisti se non a lui coevi a lui certamente affini e simili. Melancolia che riunisce in sé un intricato sistema di nozioni così che l’ampiezza del significato del termine è tale da apparire ancora utilizzabilissimo per i nostri recenti modelli culturali. Perché c’era nella sfera della melancolia di artisti lontani per temporalità (quelli del ’500) per esempio, un prendere coscienza della netta separazione dell’artista dai contemporanei non artisti. Da quella specie di storico complesso collettivo di inferiorità che aveva indotto i primi artigiani creatori di immagini a chiudersi nella buia quiete anonima delle loro botteghe, senza la pretesa, né la consapevolezza, di produrre costruzioni intellettuali capaci di investire il logos di una cultura, si era passati prima in Italia, poi via via in altri paesi, alla piena assunzione del ruolo dell’artista come operatore culturale e soprattutto ci si era convinti che alla base del demiurgico operare dell’artista stesso doveva esserci una radicale differenza rispetto agli altri uomini. Differenza che si era tentata di spiegare soprattutto ricorrendo alla nozione di melencolia, sentita, seguendo Aristotele, nelle due accezioni negativa e positiva, che distinguevano le forme più propriamente creative da quelle di carattere clinico. Che poi tra queste due specie di melancolia non fosse possibile stabilire un distacco preciso ed assoluto, poiché esse tendevano sempre a sconfinare l’una nell’altra, era un fatto che dovette essere ben presto evidente, se è proprio in questo periodo che si fa rapidamente strada la nozione dell’artista nato sotto Saturno, pianeta sinistro, solitario, scorbutico e anche ossessivo, opportuno protettore di ingegni bizzarri e intemperanti.
Noto così in Vittorio Zerbi i tratti dell’artista melancolicus capace di stimolare le altre facoltà dell’uomo, la mens, la ratio e l’immaginatio, l’ultima delle quali squisitamente pittorica. E d’altro canto di questo tipo di artista esiste una sorta di profilo nella celebre incisione di Dùrer che porta appunto il titolo di “Melancolia”, spesso come in Dùrer in Zerbi mi imbatto in una geometria dalla portata simbolica quale prodotto e testimonianza di particolari segni esoterici. Ma voglio lasciare da parte i paragoni tra un artista e l’altro, in verità ci ricado sempre, e ciò dimostra come sia facile ed attraente il gioco delle assonanze, ma Vittorio Zerbi ha creato un’opera personale e vigorosa nell’espressione e tecnicamente perfetta trasformando influenze e studio in un proprio personale linguaggio figurativo, ha scelto temi che gli dessero ogni possibilità di dare via libera ai registri della sua fantasia e al suo senso della magia. Si è servito del detto di Leonardo che faccio mio nell’interpretarne le opere: “La pittura è poesia visibile” e per questo ne risultano quadri bellissimi sull’evasione nel sogno, quadri ricchi di profondità crepuscolari come in “Ponte dell’arcobaleno” e di insondabili cieli e abissi di luce e anche di abbondanza di colori, ma ricchi anche dei contrasti decisi delle biacche su carta nera.
A volte mi pare che l’artista ci voglia trasmettere emozioni come dal ritorno da un viaggio da o verso un paese impossibile, pagine di un taccuino che devono renderci conto della realtà che egli ha scoperto laggiù. Specie più antica di Viaggiatori quella di Zerbi che vogliono dirci come un tempo i Fenici: “ Non andate dove siamo stati noi perché troverete mostri e orribili creature” o ancora del tipo di Erich il Rosso a dirci invece invitante: “Andate da dove arrivo, ho visto luoghi verdi e bellissimi” con ciò spingendoci verso un ignoto mistero. E guarda caso anche Durer compì viaggi così con visioni di cose fuori del comune e rarissime e al ritorno in Germania dai Paesi Bassi, venuto a conoscenza di una balena arenata nelle paludi della Zelanda, decise di correre a vederla per riprodurla. Non trovò però il cetaceo che era certamente tornato in mare, ma prese la malaria e se ne tornò a casa affranto e tristissimo. Sembra questo episodio evocare la poetica dell’errare condensando i temi del mostro e del resto e l’insondabile bramosia di disegnare tutto, per capire prima e far capire poi.
Così anche Zerbi ci offre catene di montagne, mostri, voragini e profondità funeste, visi e figure appaiono in queste sue messe in scena a testimoniare di splendori ma anche di ombre torbide. E’ allora chiaro che nella sua pittura i vortici di colore, le linee tornanti, quell’incredibile insistenza del bellissimo segno danno conto di una pervicace volontà di giungere alle estreme conseguenze esplicando così fino alle ultime possibilità il mandato che da pittore ha attribuito a se stesso, che la pittura, quelle fatta con colori e pennelli e con intendimento figurale è necessaria oggi come testimonianza critica del mondo e anche quello di spiegarci senza equivoci la natura di ciò che ci tormenta, delle desolazioni che ci allucinano, dei fantasmi che ci fustigano perché quel che era in pittura ritorna con buona pace di chi ne annuncia ogni tanto la fine ineluttabile come avviene nella poesia. E ciò senza alcuna volontà arrendevole di liberarsi di tutto il complesso di nozioni e di consapevolezze che inquietano e turbano, ma piuttosto con il preciso e ordinato disegno di porre immagini su immagini fino a creare un complicato archivio che serva magari da possibile contraltare iconografico alla narrativa del Lovecraft dei racconti o alla Biblioteca di Babele di Borges.
Concludo raccogliendo o meglio cogliendo il messaggio trasversale che Vittorio Zerbi ha certamente racchiuso nelle sue belle opere mettendoci sì proprio noi tutti in scena. Lo faccio citando poche righe di un racconto di Howard Phillips Lovecraft autore a me, e, so, a lui caro, queste poche righe possono suonare come monito verso chi in questa società vuole togliere irrimediabilmente le illusioni e i sogni agli artisti e ai fruitori dell’arte:
“Quando Randolph Carter giunse all’età di trent’anni perse la chiave della porta dei sogni. Fino a quel momento aveva compensato la prosaicità della vita con escursioni notturne alle strane e antiche città oltre lo spazio ed alle belle, incredibili terre giardino di là dai mari eterei. Man mano che si inoltrava negli anni sentiva che quelle libertà gli sfuggivano a poco a poco fino a quando, alla fine non ne fu tagliato fuori del tutto. Le sue galee non potevano più risalire il fiume Oukranos oltre le guglie dorate di Tran né le sue carovane di elefanti potevano più snodarsi per le giungle profumate di Kled….”. Grazie.
Briseghella, 29 giugno 200
Fioretta Faeti Barbato
IL RECUPERO DEL PENSIERO MAGICO
IN VITTORIO ZERBI
Analizzare l’opera pittorica di Vittorio Zerbi non è sicuramente impresa facile.
Sarebbe troppo semplicistico liquidare quest’artista piacentino citando la sua grande abilità tecnica e l’utilizzo di un linguaggio iconografico di tipo classico e rinascimentale. Così sembra riduttivo far rientrare l’opera di Vittorio Zerbi in quel filone d’arte fantastica di cui spesso si parla, ma con difficoltà se ne definiscono le peculiarità. Certamente Vittorio Zerbi si avvale di tutti gli elementi tipici dell’arte classica, così come utilizza la sua notevole capacità disegnativa ispirandosi ai modelli rinascimentali per proseguire una ricerca del tutto personale ed innovativa.
Artista colto, Vittorio coglie a piene mani tutto ciò che il gran patrimonio della pittura classica mette a disposizione per addentrarsi in una lucida dissertazione sul recupero del pensiero magico.
Con questo artista si riafferma in maniera del tutto nuova ed incisiva quella corrente del “sublime visionario” in cui la natura è sorgente cosmica di energie sovrumane. L’arte diviene così per Vittorio Zerbi attività tutta spirituale, antinaturalistica. Ci troviamo al cospetto di un’indagine speculativa sui grandi misteri del cosmo, su una realtà differente da quella proposta dalle ricerche scientifiche ufficiali.
Le opere di Vittorio Zerbi nascono da uno studio approfondito negli anni dei miti, delle leggende, dei segreti alchemici, della Kabbalah ebraica. Nascono così opere di una forte intensità emotiva, che catturano lo spettatore e lo introducono con la forza prorompente delle immagini ben architettate in un’altra dimensione.
Ad esempio “Gheburah “La porta pentagonale” dove l’utilizzo di un segno con chiari riferimenti a William Blake diventa supporto teorico per esprimere la rappresentazione del Potere, quinta emanazione nell’albero della vita della Kabbalah ebraica, potere che è la forza celata dietro a tutti gli impulsi volti all’annientamento.
Il disegno leonardesco è utilizzato in “Qliphot, simbolo cabalistico del male in cui i due volti si affrontano e si sbranano vicendevolmente. Interessante è pure la grande abilità dimostrata da Vittorio Zerbi nella ricerca dei contrasti cromatici e nel sapiente uso del chiaroscuro in opere come “Chora Occidentis”, “Visione totale, “Ragazza con cetonia”. Non si può parlare di quest’artista senza prendere in considerazione la sua vastissima produzione d’acquerelli, in cui Vittorio Zerbi raggiunge veramente vette elevate di maestria compositiva.
L’ispirazione a Blake e i temi affrontati rendono queste opere affascinanti e suggestive, senza cadere mai in certe banalità che spesso si riscontrano in opere di carattere visionario.
Operazione di tutto rispetto è anche la ripresa della tradizione della “Danza macabra” utilizzando un canto tedesco di guerra, rappresentando le strofe con una serie di tavole in cui Vittorio Zerbi si serve della biacca per rendere i personaggi presenze luminose che si stagliano su di un fondo nero. Potrebbe essere interessante assistere all’interpretazione di questo canto commentato dai disegni di Vittorio.
Chissà se l’artista, un giorno non troppo lontano, decida di farci questo regalo.
Piacenza, 27.02.1998 Rossella Farina
VITTORIO ZERBI, FANTASIA E VISIONE
Per dire e scrivere su Vittorio Zerbi, bisogna ovviamente fare il giusto riferimento a quell’arte “fantastica e visionaria”, i cui confini certamente non sono netti, e su cui è già intervenuto Michel Random: “L’Arte Fantastica amplifica lo specchio delle forme e del tempo; l’Arte Visionaria lucida lo specchio dello sguardo, e vi scopre l’immagine nascosta” (1).
E’ senz’altro su tale linea che si svolge e si evolve l’iter di Vittorio Zerbi, il quale pur essendo un artista del proprio tempo – sapendone cogliere inquietudini e sconcerti – affonda l’inesausta ricerca in antichissimi riti, nella tematica dell’apocalisse e della notte, nel mito, nella natura…
Nonostante quest’ultima non sia trattata in maniera strettamente descrittiva, è proprio dalla stessa, secondo gli stilemi cui abbiamo fatto cenno in precedenza, che deriva la sua ispirazione: una “natura” intesa anche come forza vitale nel connubio passato/presente. Se osserviamo opere quali “Guerriero con elmo” del 1996, come pure “Qliphot” (il principio del male secondo la cabala: due volti si affrontano e si sbranano a vicenda), o “Shabbathai” (uno spirito di Saturno che trasporta un cadavere), è facile desumere dalle varie simbologie quel suo intenso e dinamico interesse per la lettura del quotidiano percorso umano, che in fondo mutando la moda o proseguendo nella conquista della tecnologia e con l’alternarsi degli eventi, non è che sia dissimile nel comportamento singolo, in cui sovente il potere, la ricchezza e il successo cercati a tutti i costi e con qualsiasi mezzo anche illecito, possono essere accomunati nel loro simbolo, oltre il tempo e lo spazio.
Vittorio Zerbi in ogni modo, dall’alto della sua versatilità, affronta tematiche quanto mai varie, soluzionate secondo i dettami del proprio “Io”: la donna è protagonista di tutta una serie d’opere recenti. In “La porta dell’acqua” sono la fertilità (con l’acqua sorgente di vita) e la farfalla, a rilevare i ritmi della continuità, così come la dolcezza femminea è ben resa graficamente e in pittura, rispettivamente in “Ragazza che canta” e in “Dialogo con i quattro elementi”, dove
“l’uovo” da cui la donna nasce, rappresenta la Quintessenza, con “l’elemento puramente immateriale dello spirito del mondo” (2) posto a completamento degli altri, vale a dire l’acqua e il fuoco, la terra e l’aria.
Ancora interessanti ci paiono “Babalon cavalca la bestia” ispirato alle teorie magiche dell’occultista inglese Crowley, e “un incubo abbraccia una succuba”, con il tutto reso magnificamente dal punto di vista dell’equilibrio segnico. Ne “La scienza perduta” appare poi quanto mai chiara la psicologia dell’artista con le sue scelte di vita, per cui non si sente pienamente inserito in un contemporaneo (forse avrebbe desiderato vivere e agire in un’altra epoca o in una diversa dimensione); l’allusione ad un sapere antichissimo che ormai è andato perduto è lampante, con un libro che spogliandosi delle lettere sacre, resta con le pagine bianche.
Viene da chiedersi a questo punto se Zerbi sia sulla scia di certi grandi artisti dell’immaginario, quali William Blake, Johann Heinrich Fussli, Philipp Otto Runge, Damby, Turner o un Gustave Moreau (con “l’angelo viaggiatore” oggi nello splendido omonimo museo parigino).
Noi pensiamo di sì, come crediamo nel suo positivo incedere nel mondo artistico, che, se lo vede forse troppo “silenzioso” (espone di rado anche se lavora moltissimo), siamo più che certi gli possa dare ancora giuste soddisfazioni, tramite il consenso del pubblico più serio e preparato.
Marina di Pietrasanta, 20.10.1997
Lodovico Gierut
(1) “Du Fantastique Au Visionnaire”, S.V.A.Albarelli, con intervento di Michel Random, Edizioni Bora s.n.c. Bologna 1994.
(2) Enciclopedia dei Simboli, Hans Biedermann, Garzanti Editore s.p.a., Milano 1991.
(3) “I pittori dell’immaginario”, Giuliano Briganti, Biblioteca Electa, Elemend, S.r.l., Milano 1989.
MITI ANTICHI E MODERNI IN
VITTORIO ZERBI
Le sue immagini forti scaturiscono dagli spazi siderali della mente. Affiorano dall’universo cosmico ancora intatto dove l’uomo non è ancora apparso e dove le ansie e le pulsioni del presente diventano mito. Lì abitano Thanatos (la morte), Eros (la vita), il sentimento e perfino l’odiosa guerra. Anche lì la passione e l’ambizione mortificano la vita e quell’universo indefinito e sognato finisce per essere lo schermo su cui l’uomo proietta tutto di sé.
Ecco Saturno (il tempo) che imperversa tra le stelle in cerca di suo padre Urano (il cielo). Dicono le storie che il figlio troverà il padre, lo vincerà e lo confinerà ai margini oscuri del mondo. Chiediamocelo: sono questi i nostri miti?
Piacenza, 22 marzo 1997
PieroMolinari
IL MONDO BIOPSICHICO
DI VITTORIO ZERBI
(da “Cronache Padane – Nuovi incontri” del dic. ’69).
E’ laureato in biologia, non ha frequentato Accademie d’arte, insegna fisica nelle scuole medie: non ha ancora trent’anni. Eppure dipinge, e soprattutto, disegna con una forza così incisiva e penetrante, così fantasiosa, che riesce difficile a noi fare accostamenti, del resto inutili, e classificarlo stilisticamente, poiché all’arte figurativa è giunto per forza intuitiva, a causa soprattutto di un bagaglio culturale e filosofico che lo ha spinto a questo genere d’espressione. Insomma, anziché rivolgersi alla letteratura Vittorio Zerbi si è rivolto al figurativo, senza rifarsi a schemi precostituiti e meno che mai porgere orecchio ai maestri del passato e del presente.
Ci si trova indubbiamente davanti ad un prodotto di pura estrazione culturale nel quale s’intravede l’opera del ricercatore, dell’indagatore che gli proviene dall’essere, dopotutto, un biologo. I suoi lavori diventano quindi dei simboli di forze che tentano di sprigionarsi, di incanalarsi in cosmiche sfere d’elementi in via di procreazione o di distruzione.
Le figure hanno sempre il sopravvento nei lavori di Zerbi, ma non sono figure del nostro mondo fisico, sono espressioni figurative nate dalla sua coscienza e quindi anche il paesaggio che fa da sfondo è sempre un elemento secondario, pur se importante. Arte concettuale, si potrebbe definire, ma faremmo torto a Zerbi se lo imprigionassimo in questa sola definizione che, oltretutto, è artisticamente negativa.
Zerbi invece percorre un suo mondo irreale, fantastico che egli aggancia però alla figura umana e al paesaggio umano. Pone cioè l’uomo tra il reale e il fantastico per farlo agire da ponte tra queste due espressioni della sua mente creatrice.
Dove non pone in essere una sua problematica ed affida al segno grafico puro le immagini che gli vengono in mente, ottiene risultati che sorprendono, anche per la tecnica e la pulitezza del segno.
Ma in tutti i suoi lavori, che sono tanti e non sono mai stati esposti da nessuna parte, predomina l’uomo come forza rappresentativa biologica e trasformatrice del mondo. Lo abbiamo conosciuto per caso, presentati da comuni amici che ne intuivano le prospettive artistiche e la personalità singolare.
Abbiamo trascorso un’intera serata nel suo studio a far passare disegni su disegni ed a guardare dipinti di tutte le dimensioni, anche perché Zerbi non si cura delle misure e se presto o tardi sarà costretto ad incorniciare almeno una parte dei suoi lavori, saranno guai anche per il corniciaio.
Si deve aggiungere che Zerbi inventa i suoi soggetti e non fa mai confronti con la natura e il mondo reale. Tutto gli viene suggerito da di dentro, come un cronista dell’inconscio. La figura umana, sempre nuda, viene da lui rispettata nei suoi termini anatomici, ma sempre coerentemente deformata per il compito rappresentativo e simbolico che egli le affida.
Naturalmente è ancora il dato intellettuale ad avere in genere il sopravvento. E ciò si spiega con la preparazione culturale di cui inconsciamente si serve. C’è tuttavia, in questi lavori, una forza suggestiva che avvince, non in senso edonistico, ma per la narrazione e per il gusto veramente singolare e aristocratico della rappresentazione.
Sarebbe naturalmente auspicabile una mostra di questo estroso e colto concittadino che, a differenza di tanti domenicali a spasso per le gallerie senza avere nulla da dire di più di quanto non sia già stato detto da migliaia di altri epigoni come loro, si fa apprezzare per i suoi già notevoli valori artistici.
Enrico Sperzagni
Tarabella,
Massimo
Il Custode. 11. – Seravezza : Editografica, 2002. – 37 p : illustrazioni di Vittorio Zerbi. – (La Versilia e l’Arte)
Nizzola,
Bruna
La Bugia. 9 ; prefazione di Lodovico Gierut. – Ripa : Editografica, 2001. – 71
p : illustrazioni di Mauro Capitani Amedeo Lanci Renzo Maggi Bruna Nizzola
Domenico Viggiano Vittorio Zerbi. – (La Versilia e l’Arte ;
114)
ROBERTA ZERBI ZOPPI
Piccola carrellata antologica per Roberta Zerbi, che ha messo in evidenza il progressivo passaggio da alcuni soggetti principalmente figurativi, tra i quali alcuni volti altamente espressivi, ad alcune sagome marmoree di grande purezza, rigorosamente lineari, dove la libertà di espressione prende il sopravvento, giungendo ad una notevole semplificazione delle forme, quasi un ritorno alle radici primordiali dell’essere
(dal quotidiano “Libertà” di Piacenza dell’1.6.1995)
La purezza incontaminata delle sculture di Roberta Zerbi si esprime pienamente in certe rappresentazioni dove l’immagine si veste di elementi essenziali e nella purezza del marmo elabora figurazioni dove prevalgono modelli sferici ed ovali. Dall’uovo, fonte di vita per eccellenza, partono le coordinate per la costruzione dell’intera opera.
(dal quotidiano “Libertà del 6.6.1997)
Nelle sculture di Roberta Zerbi la linearità delle forme morbide, sobrie e pulite, basate sulla purezza della sfera e dell’ovale, esprimono un’interiorità riflessa in tematiche dove la sofferenza parrebbe prevalere, ma dalla speranza nasce la via per la redenzione e forse per la gioia.
(dal quotidiano “Il cittadino” di Lodi del 24 maggio 97).
Un solido senso del volume e della composizione rivela il carattere intimo della scultura di Roberta Zerbi”, nel rapporto di forma-spazio e di luce-ombra che porta ad una concezione plastica a tutto tondo dell’immagine, sinfonia di linee purissime tradotte nella sublimazione del sentimento.
La progressione formale del tema dell’ovale si svolge dal blocco compatto delle sue masse ad una definizione strutturale delle medesime coinvolgendo lo spazio connesso, verso una più acuta analisi introspettiva che, valicando i confini dello scibile, rielabora un’interiorità tessuta di tormento.
. La ricerca della semplicità conduce ad impostazioni di slancio ascensionale, animate da un ritmo interno ai limiti dell’astrazione, dove l’eleganza del modellato si fonde in configurazioni di personalissima interpretazione.
Lodi, 24 maggio 1997
Luisa Stella Bergomi
IL SAPERE ANTICO NELLA SCULTURA
DI ROBERTA ZERBI ZOPPI
All’esordio, dopo le prime sculture dal vero, serie di riproduzioni realistiche e scolastiche fondamentalmente inconcluse perché troppo perfette, Roberta Zerbi – piacentina, ex docente in materie artistiche, ora scultrice a tempo pieno – ricerca un’assoluta unità plastica, una sintesi eloquentemente espressiva non soltanto di spazio e forme ma anche di soggetti e contenuti. Come la pittura e la poesia anche la scultura è tramite di pochi eletti con la società, sensibilissimo medium comunicativo che, pur non possedendo vivacità e slancio del colore o umanità e forza di convinzione delle parole, nel modellato cerca di raggiungere autonomia e dignità d’arte, una solidità di brancusiana memoria. Per la scultrice piacentina il blocco di materia deve imprigionare il maggior numero di significati, deve cioè – confrontandosi con ricchezza, varietà e contraddizioni della realtà – recepire e tradurre un ordine naturale, culturale e simbolico, in definitiva artistico. Le sue sculture, spesso di difficile interpretazione per plurivocità di significati, contengono intense suggestioni, delicate sfumature, un sapere antico, ponendosi come unicum, forma pura, piena ed assoluta in grado di evolversi da prove massicce e terragne alla percezione dello spazio infinito, del silenzio interiore, verso cioè una cifra stilistica complessa, difficile da inquadrare in mode o correnti ma vicina a certe prove di Marino Marini o Carmelo Cappello. Nelle sue mani la materia grezza, marmo soprattutto, si anima diventando potente simbolo organico, immagini di entità misteriose ed enigmatiche avvertendosi altresì, leggero ed impalpabile, respiro della natura, mistica comunione con il mondo esterno in piena sintonia con certi esempi di un altro grande scultore moderno spesso apparentato al surrealismo, Hans Arp o con altrettanto grandi italiani, Andrea Cascella o Augusto Murer. Scopo principale della scultrice piacentina è esplorare i recessi dell’anima, svelarne i segreti e cogliere con una sola opera le emozioni di ogni uomo, quasi un’estetica della sineddoche, la parte per il tutto, similmente alla lezione di Floriano Bodini. Come ogni grande scultore il personale percorso di Roberta Zerbi Zoppi non poteva prescindere dall’evoluzione storica della disciplina stessa perché urgeva riproporre, riveduto ed aggiornato, il profondo significato della scultura nell’ambito della funzione più propriamente sociale oltre, quindi, ogni intento encomiastico e celebrativo, nostalgico e rievocativo. Zerbi Zoppi sa abilmente svincolare la dimensione puramente plastica finalizzata a certo concettualismo dalla retorica tradizionale sospesa tra scenografia e statuaria. Dal marmo può, così, nascere una sottile reinterpretazione della scultura attenta a nuovi modelli, ad una spregiudicata modernità abbandonando, così, la forma fredda e catartica della morte da cui, purtroppo, la scultura italiana troppo spesso è stata condizionata incapace, per intrinseci limiti strutturali, di esorcizzare fine fisica e paura del vuoto.
Piacenza, 10 luglio 03
Fabio Bianchi
SCULTURE DELLA ZERBI IN MOSTRA
A RIVERGARO
(dal quotidiano di Piacenza “Libertà” del 21.07.96)
A Rivergaro in questi giorni, la Galleria d’arte «Ferrari» in Via S. Rocco 66, presenta una mostra di scultura di grande interesse con una selezione di opere di Roberta Zerbi scultrice nativa di Fiorenzuola ma da anni residente e operante a Podenzano dove insegna materie artistiche nella scuola media.
Per le sue sculture Roberta Zerbi usa diversi materiali: marmo bianco di Carrara, pietra rosata detta «fior di pesco», pietra medicea, marmo nero del Belgio, pietra di Napoleone, onice, legno e terracotta. La sua progettualità creativa si inserisce ben chiaramente in un momento preciso della moderna scultura europea e italiana in cui la persistenza figurativa resiste e non si lascia cancellare dalle istanze dei movimenti razionalistici del costruttivismo (De Stijl, Bauhaus) grazie a grandi protagonisti come Brancusi, Chadwich, Wotruba, Cesar, Moore e Hans Arp. La tendenza figurativa o comunque espressivo-sentimentale della forma si fa sentire ben viva e presente nelle opere della Zerbi che dimostra di muoversi con pronta agilità tra i rischi di contraddizione e di contrasto che propone la dialettica formale tra figuratività e astrazione realizzando sculture estremamente emblematiche, cariche di tensione, sospese tra una soluzione di fascino costruttivistico e un ancora radicata adesione alla natura. Ma ancor più Roberta Zerbi si situa in quella atmosfera intellettuale e spirituale in cui operano gli scultori del ”realismo poetico” quali Arturo Martini, Marino Marini, Manzù, Minguzzi, Mirko e altri ancora.
E’ chiaro, cioè, lo svolgimento creativo che coinvolge attenzioni e interessi per la realtà che ci circonda e accompagna il nostro vivere e sensazioni, emozioni, impulsi di pensiero, intuizioni poetiche che trasformano quella realtà in pura sequenza simbolistica e fantastica. La Zerbi esprime questa sensibilità con quelle doti di estrema sintesi che guidano il segno formale, verso l’essenzialità del significato contenutistico.
Il suo linguaggio-stile spazia in una duttilità espressiva che gestisce la pietra, il legno e la terracotta con diverso gesto esecutivo, ora denso e possente in grumo drammatico (“Il pentimento”), ora allisciato ed elegante (“Ondulazioni”), ora fiorito di sbocci corruschi (“L’uomo e la foglia”), ora sottile e verticalizzato (“L’astronomo”). Il serrato rapporto tra segno formale e significato tematico (motivo che ancora e sempre perseguita la dialettica della critica d’arte) appare risolto nelle sculture della Zerbi con quell’equilibrata ricerca di funzionalità che crea le condizioni di armonia e convivenza dei valori estetici e spirituali necessari in un’opera d’arte.
Roberta Zerbi conferma una sensibilità ricca di varianti fantastiche e immaginative che, comunque, propongono sempre una essenziale figurazione di sostanza realistica, a volte espressionistica, altre volte armoniosamente neoclassica. Espone sculture in breccia rosa, in marmo di Carrara e in terracotta patinata, di preziosa cura tecnico-materica e dense di significati simbolici spirituali e poetici. Ogni sua opera – un muso di cavallo,
“L’impiccato” (secco e nudo surrealismo), l”Uomo-muschio”, “La paura”, il volto di una fanciulla con il cranio a uovo – s’illumina di un breve epigramma didascalico.
Enio Concarotti
ROBERTA ZERBI ZOPPI: LE SCULTURE
Non appena mi sono trovata a dover analizzare le opere di Roberta Zerbi, mi sono detta: “No, non una presentazione potrò fare, ma una testimonianza breve e a caldo. Si, a caldo, ma seria, però: il più seria possibile” Così ho subito pensato: se cerco di stabilire ascendenze e parentele nella scultura di Roberta Zerbi faccio certamente un esercizio inutile e forse di vanità quasi a voler giustificare del non essere una critica professionale, cosa di cui non sento affatto il bisogno di chiedere scusa a nessuno a partire dall’artista e tanto meno a me stessa. E poi, ascendenze e parentele in queste spesso magiche sculture sono fin troppo facili e ravvisabili perché qui occhieggia il Marino Marini delle Pomone, dei giocolieri acrobati, delle danzatrici, più in là scorgo i volumi di Moore e tanto tanto altro posso sensibilmente ritrovare. Tutto questo quindi non servirebbe a dimostrare né una mia adeguata consuetudine con l’arte consacrata da mostre, volumi, mercanti e critici né una mia spiccata tendenza a riconoscere tratti, segni e scuole come non servirebbe a non dire che i riferimenti possono essere altrettanto speciosi visto che la scultrice non ignora gli altri ma fa sicuramente in proprio e lo fa con una felicità di sofferenza, che, a mio parere, ha radici reali e non si alimenta soltanto di riferimenti, curiosità e audacie tecniche, Roberta Zoppi Zerbi non si appaga unicamente nella sperimentazioni di materiali o forme o colori diversi da quelli tradizionali. Anche se ormai tutto è tradizionale, voglio però dire che nelle sculture di Roberta ho sempre trovato il logos che ha sempre affascinato la speculazione della mente umana: l’anima, di così difficile rappresentazione. Allora in queste sculture l’invisibile racchiuso all’interno della materia grezza diventa visibile, il corpo materiale non racchiude più e libera la sua essenza. Mi sembra ispirata questa scultura perché all’artista non manca la capacità di saper tradurre in immagine l’anima della scultura, ma con tecnica e filosofia personali, si confronta con la durezza della materia che riesce a soggiogare alla sua iniziale idea di creazione, ma della quale asseconda con rispetto forme e capricci.
Questa la mia testimonianza a caldo che non è condizionata né sollecitata se non dalla personale emozione, ma per avere credibilità e un minimo di validità secondo me la testimonianza, proprio come nei processi, deve essere anche compromettente. Così davanti a queste sculture io mi sento di compromettermi volentieri dicendo che questa è vera arte, che è scultura vera, che la Zerbi non è una che fa per puro divertimento o peggio per esibire o per narcisismo. Si, ci sarà anche questo come per tutti gli artisti, ma lei passa con queste opere dall’io al noi, fuori di sé così che l’intensità di un vissuto o di un’esperienza personale si apre su ognuno e su tutti. Roberta è una che partorisce la sua arte con dolore liberatorio, cioè con la gioia, ogni volta, di non aver più da partorire.
Fino alla prossima volta.
Brisighella 29 luglio 2003
Fioretta Faeti Barbato
IL CARATTERE SACRALE NELLE SCULTURE DI ROBERTA ZERBI ZOPPI
Conosco Roberta Zerbi da quasi quattro anni e sicuramente l’aspetto che più mi colpisce ed affascina della sua personalità è la serietà, la dedizione, l’operosità che dimostra nell’affrontare il suo “lavoro” di artista di là dalle mode e delle tendenze.
Non a caso Roberta ha lavorato per vari anni presso le sedi dì Querceta e Vallecchia (Lu) dell’industria del marmo “Henraux”, dove il creare dell’artista è sempre a stretto contatto con il fare dell’operaio, dove la fatica fisica diventa parte preponderante della vita giornaliera.
Le sculture di Roberta Zerbi nascono da un amore totalizzante e coinvolgente verso la materia, che diviene un vero e proprio prolungamento del pensiero e del sentimento di quest’artista piacentina.
Non ci sono mai cedimenti a facili manierismi e frivolezze, ma la consapevolezza dell’utilizzare i materiali in funzione dei diversi contenuti. Roberta avverte il pulsare vitale della materia, riconosce la propria intenzione di artista inglobata nei diversi materiali di cui si serve, marmo, creta, bronzo, e con abilità riesce ad estrapolarla.
. C’è un grandioso atto d’amore e di umiltà nei confronti del mestiere, del serio agire, del cercare una continuità con tutta la grande tradizione scultorea.
L’arte di Roberta Zerbi nasce dalla sofferenza, da un senso di colpa atavico, di cui si possono ritrovare le origini risalendo il percorso di tutta la nostra civiltà occidentale per ritornare all’atto di orgoglio commesso dall’umanità con il peccato originale. Da qui la fatica del mestiere di vivere, la continua ricerca di elevazione attraverso la nostra imperfezione di uomini. Ed è proprio questa ricerca sofferta che Roberta Zerbi sente e ci mostra in opere come “La Paura”, “Invocazioni”, “L’Accusa”, “Salvazione”.
Ma l’opera di Roberta va al di là, non ci troviamo, infatti, di fronte ad una sconfitta, all’accettare senza risoluzione questa sofferenza, c’è invece la possibilità di riscatto, ottenuto con la forza del sentimento, con l’abbandono della ragione a favore della potenza dei sensi.
Ritorniamo così in un tempo magico e mitico in cui l’uomo è eroe in virtù della sua irrazionalità!
C’è un profondo carattere sacrale nella scultura di Roberta che permette la coesistenza in un’armonia ritrovata del bene e del male, attraverso un’elevazione spirituale che è insita nel superamento delle prove, delle difficoltà che troviamo sul nostro cammino. Ed è così che la forma diviene il mezzo utilizzato dall’artista per raggiungere questa condizione di perfezione.
Roberta Zerbi utilizza la forma dichiarando una chiara ispirazione ad uno dei più grandi artisti del secolo: Brancusi.
E, come per Brancusi, anche per Roberta Zerbi la forma diviene materializzazione del senso, del contenuto. Non può esservi l’elemento decorativo proprio perché queste opere comportano una forza interiore che è nell’essenza stessa della materia. Creano un proprio spazio, definendo e assimilando lo spazio esterno. Nascono da forme fondamentali ed essenziali, come il cerchio, il cubo, l’ovale, forme dell’arte antica rivisitate da Roberta con forza innovativa e ricondotte ad una sintesi perfetta attraverso una fortissima implicazione dell’orizzontale e della verticale.
Un chiaro esempio è dato dall’Astronomo”, dove l’utilizzo del marmo nero del Belgio tende ad evidenziare la verticalità dell’opera, rafforzandone l’indagare inquieto, lo scrutare il cielo e l’appropriarsi delle forze cosmiche dell’universo. La luce scorre sulle venature del marmo accentuando il carattere sacrale dell’opera.
L’interesse per la materia porta in sé anche l’interesse per il vuoto. L’inafferrabile esiste e per Roberta va indagato. Il vuoto è sospensione, attira tra i volumi della scultura come è ampiamente dimostrato in “Omaggio a Manzù”, “Il Partigiano”, “Il pieno e il vuoto” e nell’Uomo Muschio”.
E non a caso queste opere sono realizzate in terracotta, materia che si plasma, che s’impossessa del vuoto spaziale per riempirlo con la sua stessa essenza.
Roberta Zerbi riesce in questo modo a creare una sorta di sospensione temporale tra lo spettatore e l’opera che permette un fluire di energie vitali positive, un’unione intima tra lo spirito irrazionale umano e le forze generatrici della natura.
Piacenza, 27.02.98 Rossella Farina
LA DISCESA NELL’ARCHETIPO
Lo sguardo di Roberta Zerbi Zoppi s’allontana un attimo. Scruta .l’orizzonte, in un luogo che ella conosce. Subito dopo parla con garbo “Già, già, questi messaggi vanno ascoltati…!” Si riferisce ad intuizioni che, discorrendo, le son balenate in mente.
Percorro le stanze del suo laboratorio, da giù a su, dal seminterrato su su, per brevi rampe, sino al piano terra ove in vista posano le sue opere finite.
La salita pare una metafora del suo itinerario artistico: dalle profondità dell’irrazionale, incantato e straniante, di mille forme potenziali, su fino alla coscienza lustra, alle opere concluse, insomma.
Che cerca, allora, Roberta Zerbi? Che indaga insieme al marito pittore, egli pure proteso sul visionario surreale?
Quello che in fondo ogni artista insegue: le forme originali, gli archetipi d’ogni cosa! Si, insomma, il prototipo generato agli inizi, l’essenza, quel tanto che serve per esser “la cosa”, “la persona”, “l’animale”.
Ma dove si colloca?
Proprio là ove il dito del motore immobile tocca il primo degli ingranaggi avviando il motore dell’esistenza.
Ecco, allora, le sculture con l’eco del mistero: “Astronomo”, serrato nei suoi vaticini; l’enigmatico “Giano”; l’affiorante “ La paura”; poi “La salvazione”. E persino l’“Uomo che ride”, una smorfia a travalicare quasi nella follia.
Vien da chiedersi: “Perché l’uomo ride fino a quel punto?” Perché Roberta Zerbi Zoppi ha estratto dalla materia una risata così sconvolta?”
Be’, che può mai restare se si raggiunge l’arcano e s’arriva a sfiorarlo, magari in una fugace intuizione che pare sogno?
Il giorno dopo s’avvertirà di nuovo il peso del banale e si avrà il coraggio d’entrare ancora nel tunnel.
Di nuovo lo scalpello, docile ed abile, riprenderà a definire forme che…giungono da lontano
Piacenza, 23 aprile 2002
Luigi Galli
GLI ETERNI VALORI DELLA VITA
Tre, quattro, cinque anni… è strano come nella vita la memoria del tempo tenda a cancellarsi, allorché una casuale conoscenza si trasforma in un’amicizia sincera, netta: ecco che le palizzate dei mesi e degli anni, improvvisamente svaniscono.
Ti sembra d’averla conosciuta da decenni quella persona – l’artista, nel caso – con la quale ad ogni incontro, “sulla via di Michelangelo” a Seravezza, a Piacenza o a Pietrasanta, il dialogo continua come tre mesi prima o più, quasi che lo spazio temporale abbia avuto soltanto la stasi di qualche attimo.
Con Roberta Zerbi Zoppi, entrata a far parte a buon diritto della folta schiera d’innamorati ad oltranza della Versilia creativa, di coloro, cioè, che vi hanno trovato il terreno artistico più consono alle proprie capacità, il mio rapporto è sempre illuminato da dialoghi interminabili connessi alle cose d’arte: le fonderie e gli studi per la lavorazione artistica e artigianale del marmo, le tecniche di patinatura, la recente “personale”di Igor Mitoraj o il commosso ricordo del padovano – versiliese d’adozione – Franco Miozzo, i risultati ceramici di Antonio Giannecchini, la ritrattistica di Romano Cosci e cento altre argomentazioni.
Scultura e pittura, dunque, ed anche la sua, ovviamente.
Il limite tematico dei due sistemi creativi, in Roberta Zerbi Zoppi, non esiste: in ambedue ella sa inserire, con estrema sensibilità, una propria “voce” coerente, che in un’opera casualmente presa, “Canto alla luna” riesce a rendere universali gli eterni valori della vita, della continuazione e del dolore come della felicità.
Sulla stessa linea troviamo “Invocazione”, una scultura proposta in bronzo come in terracotta, plasmata e modificata ad ogni occasione, che tuttavia nel suo contenuto monumentale e “senza tempo”, non cede al retorico e all’orpello. La luminosità si sposa alla superficie, offrendo al fruitore un senso d’armonia che non di rado sa quasi di germoglio, di rinascita costante.
E’ un inno alla vita la sua opera, ma è anche “lo specchio della vita” le figure femminili, così come quelle maschili, in pittura non divergono grandemente dalle altre che prendono forma dall’impatto della materia scultorea, semmai la scelta di certe coloriture bluastre, verde argento col rosa antico che si trasforma nel segno della luna, si caricano maggiormente che in altri casi d’un senso lirico/malinconico, quasi che l’alone temporale dica dell’impossibilità d’agire sulle ore e sui minuti.
Fantasia e sogno convergono poi in una poesia del quotidiano tutta propria, ove le caselle della vita sono riempite ad una ad una di emozioni dipinte in maniera gestuale, rapida, per dimostrare col gesto senza tentennamenti, del desiderio compiuto e deciso di non far spegnere la fiammella dell’esistenza.
Tornando alla scultura, va detto che lavori di gran spessore quali “Il pensatore”, chiariscono una volta ancora la sua psicologia, infatti, ella crede nel messaggio della cultura e del dialogo come asse portante del risveglio e del quotidiano esistere.
Prese una ad una ad una e nel complesso, sia che si tratti di dipinti ad olio o a tempera o ad acrilico, di sculture in terracotta, in marmo bianco del monte Altissimo o in nero del Belgio o in rosa del Portogallo, le opere di Roberta Zerbi Zoppi “tengono” al tempo, e nel tempo sanno di poter fare la propria parte, divenendone simboli da guardare e da toccare. e da ammirare.
Marina di Pietrasanta, 2.10.1997
Lodovico Gierut
INNO ALLE EMOZIONI
…colgo una rara e profonda sensibilità nel volto di un’Artista donna.
Cauta osservatrice nel suo sguardo noto una percettibile tristezza come se il Male del mondo fosse parte di Lei. Carica i suoi pensieri dell’ignoto scovando Dolore e disperazione in ogni piccolo e significativo gesto umano.
Proclama un inno alle emozioni più varie proponendo atteggiamenti e movimenti scultorei-anatomici di alto sgomento psicologico.
Le mie mani hanno percorso diverse superfici legnose, rugose, arrotondate, tondeggianti, mai spigolose. La possibilità di toccare tutta la scultura senza mai staccarmi mi ha reso partecipe al Suo essere. E’ stata una sensazione forte.
Mi ha permesso di entrare, accarezzare e capire l’anima di questi soggetti così pensierosi, immobili nei loro gesti. Segnati da un destino crudele.
Imprigionati dall’incantesimo della ragione e dal pensiero dell’ignoto sapere Pensandoriflette sulle interiorità dell’uomo. Legame perfetto poesia e scultura. Leggere guardare percepire e…capire.
Castelfranco Veneto, 31 maggio 2003
Manola Mazzon
L’ESSENZIALITÀ IN ROBERTA ZERBI ZOPPI
Le forme scolpite dalla signora Zerbi sono risolte in maniera essenziale. Le descrive una linea continua, pulita.
Le caratterizza un apparire modulato di volumi sui quali si intravedono figure emblematiche ed altre tracce evocatrici. Un volto? E’ la perfezione della sfera. E’ il prodotto inafferrabile del primo concepimento. E’ il modello archetipo della sfuggente giovinezza. E’ il discorrere complesso su argomenti decisivi, portati in un mondo chiaro, pulito, semplificato, vissuto e sognato, dove contano soltanto le cose che servono alla vita.
Piacenza, 22 marzo 1997
Piero Molinari
LA POTENZA DEL SIMBOLO
…fisicità inesplosa dei marmi di Roberta Zerbi Zoppi la cui scultura mira a rappresentare i simboli nella loro forma essenziale: La potenza di queste figure traspare dalla linearità delle forme e della superficie levigata a specchio, che contrastano con i piedistalli riccamente lavorati ad intarsio, quasi come se l’artista avesse voluto creare un limite fra arte e reale. Questi corpi essenziali costringono ad andare al di là della forma, a cercare il vero messaggio nella durezza della pietra, a specchiarci in noi stessi per vedere l’altra nostra faccia, proprio come fa “Giano”, divinità bifronte del passaggio e degli inizi.
Roberta Suzzani
(dal quotidiano di Piacenza “La voce” del 19 giugno 2002 ).
L’EFFETTO MAGICO NELL’OPERA
DI ROBERTA ZERBI ZOPPI
La scultura è sempre stata un privilegio maschile per la forza fisica che richiede. Il marmo, e ancor più la pietra, infatti, mettono a dura prova i muscoli di chi li lavora, a causa della loro compattezza.
Ma quando tale attività è una vocazione, non c’è alternativa.
Michelangelo sosteneva che i personaggi da lui pensati erano già vivi, imprigionati dentro il blocco, prima che lo lavorasse. Suo compito era di liberarli togliendo i legacci della materia perché potessero svelare la loro anima.
Guardando le opere di Roberta Zerbi Zoppi, si direbbe che condivida il pensiero del “Grande”: la materia grezza provoca e sollecita l’artista; le sue mani hanno bisogno di sentirla, di percepirne il mistero per poi, a colpi di scalpello, obbedire all’impulso interiore e alla fantasia creativa.
Roberta iniziò la sua vita artistica lavorando la creta; ne sono usciti ritratti melanconici e dolcissimi di personaggi a lei cari che testimoniano la sua capacità di cogliere espressioni caratterizzanti la loro personalità. Col passare del tempo, acquisendo esperienza tecnica, le si è imposto l’uso di diversi materiali più consoni alla sua evoluzione culturale, al bisogno di misurarsi con difficoltà e contenuti più ardui.
Le sue origini, il suo vissuto, la consuetudine quotidiana con un altro artista, i contatti con culture “altre” sono per lei stimolo, creano il clima adatto per la realizzazione di opere palpitanti e vigorose.
L’ispirazione artistica non è una folgorazione tout-court come molti credono. Perché il miracolo avvenga devono realizzarsi alcune condizioni: lunga educazione all’analisi, alla riflessione ed elaborazione, alla sperimentazione, all’umile accettazione del proprio indefinito e limitato.
E’ necessario che il germe venga custodito nel proprio io, seme che va difeso, nutrito, perché si tramuti, sbocciando, in un evento: Roberta ne è consapevole. Le sue opere mostrano che lavora con lo scalpello e con l’anima trasfondendo nell’opera la fatica umana del vivere quotidiano con le ansie, le paure, i dolori, ma anche gli incanti, le fantasie, la poesia, l’amore.
Così, mentre scolpisce la pietra, modella la propria anima, la raffina, la rende attenta, la interroga e approfondisce con fatica, sofferenza e passione il processo evolutivo della propria maturazione umana e artistica.
Roberta non è uno spirito pacifico né rappacificato rispetto a ciò che urta la sua sensibilità; porta in sé cicatrici di ferite ataviche stampate nel genoma umano oltre a quelle della lotta per essere fedele a se stessa.
La coerenza e l’umiltà costituiscono un pregio raro nel mondo artistico che esige povertà di orpelli e libertà interpretativa: per Roberta è un atteggiamento naturale. Si schermisce, si ritrae di fronte agli apprezzamenti, quasi si vergognasse di essere stata scoperta nel suo intimo sentire. Non ama esibirsi pur credendo fortemente nell’arte. L’opera nasce dopo che l’artista ha preso le distanze dal contingente, dal soggettivo. Sfuggendo alle maglie dell’ovvio, del già detto, il pensiero si rigenera in forme poetiche capaci di far emergere stupori primordiali, emozioni radicate nel cuore dell’uomo dalle sue origini, grumi di vita modellati in forme essenziali capaci di svelare una loro universalità. Nascono così “La strega del sasso”, “Consolazione”, “Il pentimento”, “Rebirthing”, sculture che sprigionano un effetto magico, seducente per lo spazio interpretativo che concedono anche all’osservatore cosicché ognuno, ammirandole, vi riconosca qualcosa di sé, qualcosa che appartiene ad ognuno di noi.
San Predengo, 15 aprile 2002
Lucia Zecchi Gadaleta
VITTORIO ZERBI
Laureato in Scienze Biologiche ed ex docente di materie scientifiche, Vittorio Zerbi lavora da decenni nel campo della figurazione. Predilige l’arte fantastica e si ispira ad antichi simbolismi ed alle scienze esoteriche. Ampio l’elenco delle esposizioni e delle collettive e premi, di solito insieme alla moglie Roberta Zoppi, scultrice. Numerose le recensioni su emittenti televisive e riviste specializzate.
Il corsivo indica le mostre attuate con la sola partecipazione della moglie.
1993: “Santa Chiara”, Monastero di San Severino Marche;
2° edizione del Concorso Nazionale di pittura e grafica, Castell’Arquato (Pc), 2° premio per la grafica;
1994: Galleria Malatestiana, Rimini; 2° Edizione Concorso di pittura – scultura – grafica “Città di Cortemaggiore” (Pc), 1° Premio Acquerello
1995: Circolo “Ada Negri”, Lodi; “Inebriarsi”, Cantine Bonelli, Rivergaro (Pc); Abbazia San Colombano (Bobbio); “Disognando”, Circolo culturale “Arte e introspezione” Piacenza; Colombano, Bobbio (Pc); “Galleria del sole”, Farnesiana, Piacenza; ”Salone Pio X”, Grazzano Visconti (Pc); Mostra Mercato d’Antiquariato e Modernariato, Sede Expo, Pisa;
1996: Presentazione pala d’altare “San Rocco”,Centro Manfredini, Piacenza; Centro culturale, Gragnano Trebbiense (Pc); Scuola Media, Fiera di San Giacomo, Podenzano (Pc); Abbazia di San Colombano, Bobbio (Pc); Salone “Pio X”, Grazzano Visconti (Pc); “Algarybaldi”, Stradella (Pv);
1997: “Parma, Arte e cultura”, Oratorio San Tiburzio, Parma; Premio Internazionale d’Arte Carrara Hallstahammar 4° premio per la pittura; “XXXIV Edizione Mostra nazionale pittura”, Santhià (Bi), Premio “Universo Donna”; “Premio Italia”, Eco d’arte Moderna, Palazzo Pretorio, Certaldo (Fi); Giornata del “Libro d’artista”, Club d’Ars e Avida Dollars, Milano; 22° Concorso nazionale “La telaccia d’oro”, Torino; Collegio San Francesco, Lodi
Apr. Mag. 1999: “XXXVI Edizione Mostra Nazionale di Pittura”, Santhià, Premio Nazionale “Ugo Macchieraldo”
1998: “E’…ros nell’arte”, La Galleria, Rapallo; “Le ombre delle idee”, Eni Polo Sociale, San Donato (Mi); “Leonardesca”, mostra itinerante 1998-2000, Centro internazionale di Cultura e Spiritualità Fra Benedetto, Sillico, Pieve Fosciana (Lu): Sillico, Pietrasanta e Carrara; “Estate a Querceta”, Querceta (Lu); Premio d’arte “Città di Breno”, Breno (Bs); “Fiera di San Giacomo”, Scuola Media Statale, Podenzano (Pc); “Arte Padova 98”, Padovafiere, Padova; “Leonardesca” – Mostra artistico documentaria, Studio Verzoni, Carrara; Premio Nazionale d’Arte “Gianni Passerini”, 1° premio pittura, Castiglione d’Adda (Lc); “Guf’otto, Gazebo, PiacenzaA
Lug. 1999: “International painters’and artists’cultural meeting”, Premio “Leonardo da Vinci”, Capena (Ro)
Ott. 1999: “Colori nuovi sulle antiche carte di Pescia – Documento Arte 2000”, Centro documentazione della carta, Pietranova, Pescia (Lu); Dic. 99: “Novantanovezerozero”, Sala Consiliare, Rocca di Borgonovo (Pc)
Apr. 2000: “XVIII Concorso Nazionale di Pittura Contemporanea”, Premio Comune di Trivero “Giorgio Loro Piana”, Trivero (Bi), segnalazione
Mag. 2000: Ospite dell’IX Incontro Ex Allievi del Toschi di Parma, Galleria “Il voltone”, Fontanellato (Pr)
Giu. 2000: “Artisti in fiera, Arte Europa, Parma 2000”, Fiere di Parma2000:
Lug. 2000: “Documento Arte 2000”, Centro Internazionale di Cultura e Spiritualità Fra Benedetto, Sillico di Pieve Fosciana (Lu)
Sett. Ott. 2000: “XXXVII Edizione Mostra Nazionale di Pittura Contemporanea Santhià”, Premio Nazionale “Roberto Pasteris” e “Le strade del cielo”
Dic. 2000: “Verso il Natale”, Galleria Immagini Spazio Arte, Cremona
Dic. 2000: “Artigianato sotto l’albero”, Castello di Paderna (Pc.)
Apr. 2001: 19° “Concorso nazionale di pittura contemporanea”, Trivero (Biella), Premio “Pro Loco di Trivero”
Apr. 2001: Illustrazione de “La bugia” di Bruna Nizzola, Editografica, 2001
Mag. Giu. 2001: “XXXVIII Edizione Mostra Nazionale di Pittura Contemporanea, Santhià (Ve), Premio Nazionale: “Acqua: dea di vita” e “Pietro Generali”
Lug. Ago. 2001: “Le ombre delle idee”, Sala Consiliare Palazzo Fregoso, Sant’Agata Feltria (Pesaro Urbino)
Ago. 2001: 3° Edizione Premio Internazionale letterario e artistico “Poesia e immagine” – Accademia Internazionale Urania sez. Lombardia, 2° Premio grafica
Ago. 2001: “Opere d’arte contemporanea “- Sala Consiliare Municipio Zocca, Mostra di beneficenza organizzata dal CEIS
Ago. 2001: Collettiva di pittura e scultura – Scuola Materna di Nibbiano (Pc)
23 Sett. / 18 Nov. 2001: “Le ombre delle idee” – Rocca Fregoso – S.Agata Feltria – (Ps)
20/23 Ott. 2001: Sala consiliare Municipio di Castelverde (Cr).
24 Nov. 2001 Dic.”VII Rassegna Idearte: pittura, scultura, grafica”, Centro dei Borghi. Navacchio, (Pi), 1°Premio per la grafica;
18/31 Gen. ”Pittura e scultura italiana” Galleria Bertrand Kass, Innsbruck, Austria (patrocinio degli Istituti italiani di cultura ad Innsbruck e Vienna).
6 Apr. 2002 Palazzo Mediceo, Seravezza (Lu): Presentazione dello scritto di Massimo Tarabella “Il custode”, Editografica, illustrato con otto tavole da Vittorio Zerbi
2001: 3° Edizione Premio Internazionale letterario e artistico “Poesia e immagine” – Accademia Internazionale Urania sez. Lombardia, segnalazione speciale
Mar. 2003: “Sine tempore”, Santa Maria della Pace, Piacenza.
Apr. 2003: “Concorso Nazionale di Pittura, Scultura e Grafica Noè Bordignon”, Castelfranco Veneto, Treviso, segnalazione
Giu. Lug. 2003: Nell’ambito delle FesteMmedievali “Giorno crudele”, Chiesa del Suffragio, Brisighella (Ra)
Lug. Ago. Sett. 2003: “L’arte all’aperto”, Scipione Castello, Salsomaggiore Terme (Pr).
1/3 Agosto 2003: Festival Natura-moda Arte, Terrinca (Lu)
26 Lug./25 Ago. 2003: “Una manciata di fantastico”, AnticoPalazzo Pretorio di Castell’Arquato (PC).
Set. 2003: Antichità Arzani, Rivergaro (Pc)
Set 2003: 5° Edizione Premio Internazionale letterario e artistico “Poesia e immagine” – Accademia Internazionale Urania sez. Lombardia, Cislago (Va), 1° Premio pittura
10/20 Giu. 2004: “Il mito di Undulna”, Villa Undulna, Terme della Versilia, Cinquale di Montagnoso (Lu).
5/17 Feb. 2005: “Simbolo e visione”, Associazione “Amici dell’arte”- Galleria Ricci Oddi, Piacenza
26 Mar./ 10 Apr. 2005: « Simbolo e visione”, Foyer del Teatro Verdi di Fiorenzuola d’Arda (Pc)
3/17 Sett. 2005: “Simbolo e visione”, Casa della cultura, Cascina (Pi).
08/31 Mar. 2010: “Le ombre delle idee”, Palazzo Mediceo, San Leo (Rimini)
21 Mag./4 Giu. 2011: “Simbolo e visione”, Ex Macello, Fiorenzuola d’Arda (Pc)
Per visitare le opere di Vittorio Zerbi
Archivio artistico-documentario Gierut-Marina di Pietrasanta (Lu).
Centro di Documentazione sulla lavorazione della carta – Pietranova – Pescia (Lu)
Centro Internazionale di Cultura e Spiritualità Fra Benedetto – Sillico di Pieve Fosciana (Lucca).
Chiesa di San Rocco – Centro Manfredini – Piacenza
“mim”- MUSEUM IN MOTION – San Pietro in Cerro (Pc).
Fondazione Verani Lucca – Fiorenzuola d’Arda
Referenze:
Archivio artistico-documentario Gierut-Marina di Pietrasanta (Lu).
“mim”- MUSEUM IN MOTION – San Pietro in Cerro (Pc).
Hanno scritto di lui:
Luisa Stella Bergomi, Fabio Bianchi, Ennio Concarotti, Matteo Delle Donne, Eliana Dragoni, Fioretta Faeti Barbato, Rossella Farina, Umberto Fava, Stefano Fugazza, Luigi Galli, Lodovico Gierut, Carmine Lazzarini, Carmen Lugli Gazzola, Alessandro Mezzadri, Piero Molinari, Renato Passerini, Paola Riccardi, Benedetta Rinaldi, Italo Siboni, Enrico Sperzagni, Laura Steffenoni, Elio Succi, Edoardo Veratelli, Luciano Giuseppe Volino.
Nizzola, Bruna
La Bugia. 9 ; prefazione di Lodovico Gierut. – Ripa : Editografica, 2001. – 71
p : illustrazioni di Mauro Capitani Amedeo Lanci Renzo Maggi Bruna Nizzola
Domenico Viggiano, Vittorio Zerbi. – (La
Versilia e l’Arte ; 114)

ROBERTA ZERBI ZOPPI
Ex docente di materie artistiche, Roberta Zerbi Zoppi lavora la pietra, il marmo e modella la creta. La sua scultura mira a rappresentare i simboli nella loro forma essenziale.
Per più anni ha lavorato, nel periodo estivo, presso le sedi di Querceta e di Vallecchia (Lucca) della Soc. Henraux – dove hanno operato soprattutto negli anni sessanta scultori quali Moore, Henry Georges Adam ed Arp – partecipando nel 1996, 1997, 1998 e 1999 al Simposio di Scultura “Sulla via di Michelangelo”, a Seravezza.
Ampio l’elenco delle esposizioni e delle collettive a premio (nelle quali ha avuto significativi riconoscimenti), di solito insieme al marito pittore Vittorio Zerbi. Numerose le recensioni su emittenti televisive e riviste specializzate.
Il corsivo indica le mostre in cui ha esposto in sola compagnia del marito.
1993: “Santa Chiara”, Monastero di San Severino Marche; 2° edizione del Concorso Nazionale di pittura e grafica, Castell’Arquato (Pc);
1994: Galleria Malatestiana, Rimini; “Donna e arte”, Filarmonica Italiana, (Pc); 22° Edizione del Concorso di pittura e grafica “Città di Cortemaggiore” (Pc), 1° premio scultura;
1995: Circolo “Ada Negri” di Lodi; “Inebriarsi”, Cantine Bonelli, Rivergaro (Pc); “Punti d’incontro”, Abbazia di San Colombano, Bobbio (Pc); Grazzano (Pc), “Salone Pio X”; “Galleria del Sole”, Galleria del sole, Farnesiana, Piacenza; “Mostra Mercato dell’Antiquariato e Modernariato”, Sede Expo, Pisa;
1996: Centro culturale, Gragnano Trebbiense (Pc); Scuola Media, Fiera di San Giacomo, Podenzano (Pc); “Galleria Ferrari”, Rivergaro, (Pc); “Punti d’incontro”, Abbazia di San Colombano, Bobbio (Pc); Salone “Pio X”, Grazzano, (Pc); “V Incontro degli ex allievi del Toschi”, Gualtieri, Palazzo Bentivoglio (Re);
1997: ”Parma: Arte e cultura”, Oratorio San Tiburzio, Parma; “XXXIV Edizione Mostra Nazionale Pittura”, Santhià (Bi); “Premio Italia”, Eco d’Arte Moderna, Palazzo Pretorio, Certaldo (Fi), segnalazione ex aequo per la scultura;“Giornata del Libro d’Artista”, Club d’Ars e Avida Dollars, Milano; “22° Concorso Internazionale “La telaccia d’oro 97”, Torino, premio ex aequo per la scultura; “Premio d’arte Città di Breno”, Breno (Bs), 6° premio scultura; Collegio San Francesco, Lodi; Centro Culturale di Castelsangiovanni (Pc); Premio Int.le d’Arte Carrara-Hallstahammar, Carrara,2° premio perla scultura; Premio Sardo “Efisio Tola”, Portici Palazzo Gotico, Piacenza; “Estate a Querceta”, Querceta (Lu); “Pittori contro la guerra”, Milano; “La nuova tela di Penelope”, Palazzo Pretorio, Certaldo (Fi).
1998; “E’. ros nell’arte”, La Galleria, Rapallo; VI Incontro ex allievi del “Toschi” di Parma, Palazzo Grasselli, Cremona; “Le ombre delle idee”, Eni Polo Sociale, San Donato (Mi); VII Incontro ex allievi Toschi, Palazzo del Monte di pietà, Busseto, (Pr); “XVI Edizione Premio Firenze”, premio inserimento antologia letteraria; Collettiva di Pasqua di artisti contemporanei, Antico Refettorio, Chiesa dell’Annunziata, Parma; “Premio d’arte Città di Breno”, Breno (Bs), 5° premio scultura; “Leonardesca”, Centro Internazionale di Cultura e Spiritualità Frà Benedetto, Mostra Itinerante 1998/2000: Sillico di Pieve Fosciana (Lu), Pietrasanta (Lu), Carrara; Fiera di San Giacomo, Scuola Media di Podenzano (Pc); “La stanza delle immagini”, Arcoiris Gallery, Piacenza; “Artepadova 98”, Padovafiere, Padova.
Nov. 1998: Premiazione Arti Visive, “XVI Edizione Premio Firenze”, Salone dei Cinquecento, Palazzo Vecchio, Firenze
Nov. 1998: Premio Nazionale d’arte “Gianni Passerini”, Castiglione d’Adda (Lc), 1° premio scultura;
Dic. 1998 “Guf’otto”, Piacenza, Gazebo
A. 1998/99: Onorificenza Grizzly, Sci Club di Podenzano
Feb. 1999: “C’era una volta…”, Circolo “Ada Negri”, Lodi
Apr. 1999: “Premio Italia”, Capraia Fiorentina
Apr. Mag. 99: “XXXVI Edizione Mostra Nazionale di Pittura, Santhià”, Premio “Echi di mitiche campane”
Lug. Ago. 1999: “VI Simposio di scultura “Sulla Via di Michelangelo”, Seravezza (Lu)
Lug. 1999: “Arte Contemporanea: Premio Leonardo da Vinci”, Capena (Roma)
Ott. 1999: “Colori nuovi sulle antiche carte di Pescia”, Centro di documentazione sulla lavorazione della carta, Pietranova, Pescia (Lu)
Ott. 1999: “Opere d’arte contemporanea”, Istituto d’Arte Venturi, Sala delle Dame – Modena – Mostra di beneficenza organizzata dal CEIS
Dic. 1999/Gen. 2000 \“Novantanovezerozero”, Sala consiliare, Rocca di Borgonovo (Pc)
Apr. 2000: “XVIII Concorso Nazionale di Pittura Contemporanea”, Premio Comune di Trivero, “Giorgio Loro Piana”, Trivero (Biella)
Mag. 2000: “IX Incontro Ex Allievi dell’Istituto Toschi di Parma”, Galleria d’Arte “Il Voltone”, Fontanellato (Pr)
Giu. 2000: “Artisti in Fiera, Arte Europa, Parma 2000”
Lug. 2000: “Documento Arte 2000, Centro Internazionale di Cultura e Spiritualità Fra Benedetto, Sillico di Pieve Fosciana (Lu)
Sett. Ott. 2000: “XXXVII Edizione Mostra Nazionale di Pittura Contemporanea Santhià, Premio “Le strade del cielo”
Dic. 2000: “Verso il Santo Natale”, Galleria Immagini/Spazio Arte, Cremona.
Dic. 2000: “Artigianato sotto l’albero”, Castello di Paderna (Pc)
Apr. 2001: “19° Concorso nazionale di pittura contemporanea”, Trivero (Biella), Premio “RotaryClub”
Mag. Giu. 2001: “XXXVIII Edizione Mostra Nazionale di Pittura Contemporanea, Santhià, Premio Nazionale “Filippo Alto”
28 Lug./9 Set. 2001: “Le ombre delle idee”, Sala consiliare, Palazzo Fregoso, Sant’Agata Feltria (Pesaro Urbino)
Ago 2001: “Opere d’arte contemporanea”, Sala consiliare, Municipio, Zocca (Mo)
Ago 2001: Mostra di pittura e scultura, Scuola materna, Nibbiano (Pc)
23 Set. –18 N0v. 2001: “Le ombre delle idee”, Rocca Fregoso, Sant’Agata Feltria (Pesaro Urbino)
20/23 Ott. 2001: “Le ombre delle idee”, Sala consiliare, Municipio di Castelverde (Cr).
24 Nov./2 Dic. 2001: “ VII Rassegna Idearte: pittura, scultura, grafica”: 2° Premio scultura; Centro dei Borghi Navacchio (Pi)
18 Gen./1 Feb 2002: “Pittura e scultura italiana”Galleria Bertrand Kass, Innsbruck, Austria (Patrocinio degli Istituti italiani di cultura a Innsbruck e Vienna)
15 Giu./ 7 Lug. 2002: “La materia nell’universo femminile”, Auditorium di Rivergaro (Pc)
Mar. 2003: “Sine tempore”, Santa Maria della Pace”, Piacenza
Apr. 2003: “ Concorso Nazionale di Pittura, Scultura e Grafica Noè Bordignon”, Castelfranco Veneto (Tv), 2° premio acquisto ex aequo per la scultura
31 Mag./ 21 Giu. 2003: “ARTEXPONE”, Castelfranco Veneto, (Tv)
Giu. Lug. 2003: “Giorno crudele”, Chiesa del Suffragio, Feste medioevali, Brisighella (Ra)
18 Giu/15Lug.2003: “Solstizio d’estate”, Pieve Fosciana (Lu)
Lug. Ago. Sett. 2003: “L’arte all’aperto”, Scipione Castello, Salsomaggiore Terme (Pr)
1/3 Ago. 2003: Natura-Moda Arte, Terrinca (Lu)
Ago. 2003: “Una manciata di fantastico”, Antico Palazzo Pretorio di Castell’Arquato, Piacenza.
Set. 2003: Antichità Arzani, Rivergaro (Pc)
Feb. 2005: 5/17: “Simbolo e visione”, Associazione “Amici dell’arte”- Galleria Ricci Oddi, Piacenza
Apr. 2004: 6° Edizione Premio Internazionale letterario e artistico “Poesia e immagine” – Accademia Internazionale Urania sez. Lombardia, Cislago(Va), 1° premio per poesia e scultura “L’ombra”
26 Mar./ 10 Apr.: « Simbolo e visione”, Foyer del Teatro Verdi di Fiorenzuola d’Arda (Pc)
5 Giu./27 Lug. 05: “War” National Queer Arts Festival, Som Arts Gallery, San Francisco (Usa)
3/17 Sett.: “Simbolo e visione”, Casa della cultura, Cascina (Pi)
4/11 mar. 06: Collettiva nella chiesa di San Protaso (Pc)
29 Nov./6 Dic. 2009: “Chiesa della Buona Morte”, (inserimento nel “Lùnari dal Dumila e des” a cura della Pro Loco, Fiorenzuola d’Arda, Piacenza
08 Mar./31 Mar. 2010: “Le ombre delle idee”, Palazzo Mediceo, San Leo (Rimini)
21 Mag./4 Giu. 2011: “Simbolo e visione”, Ex Macello, Fiorenzuola d’Arda (Pc)
Hanno scritto di lei:
Luisa Bergomi, Fabio Bianchi, Ennio Concarotti, Matteo Delledonne, Eliana Dragoni, Fioretta Faeti Barbato, Rossella Farina, Umberto Fava, Stefano Fugazza, Luigi Galli, Lodovico Gierut, Carmine Lazzarini, Carmen Lugli Gazzola, Manola Mazzon, Alessandro Mezzadri, Piero Molinari, Paola Riccardi, Italo Siboni, Roberta Suzzani, Luciano Giuseppe Volino, Giuseppe Zangrandi, Lucia Zecchi.

Referenze:
“Archivio artistico-documentario Gierut”-Marina di Pietrasanta (Lu)
“mim”, MUSEUM IN MOTION-San Pietro in Cerro (Pc)
Per visitare le opere di Roberta Zerbi Zoppi
“Accademia Antonino Pizzolon”, Ponzano Veneto, Treviso
“Archivio artistico-documentario Gierut”-Marina di Pietrasanta (Lu)
Centro di Documentazione sulla lavorazione della carta, Pescia (Lu)
Centro Internazionale di Cultura e Spiritualità Fra’Benedetto, Sillico di Pieve Fosciana, (Lu)
Convento di San Francesco, Fiorenzuola d’Arda (Pc)
“mim”, MUSEUM IN MOTION, San Pietro in Cerro (Pc)
Monastero Domenicano Suore di Clausura, Fontanellato (Pr)
Museo dei Bozzetti, Chiesa di Sant’Agostino, Pietrasanta (Lu)
Fondazione Verani Lucca – Fiorenzuola d’Arda